Il Cile non è esattamente il primo Paese che viene in mente quando si parla di arti marziali. Eppure dal 2006 la coppia formata dal regista Ernesto Díaz Espinoza e dall’attore-coreografo Marko Zaror ha via via costruito una filmografia di culto, che spazia dai classici del kung fu al cinema d’azione sudamericano, passando per parodie di spy movie e thriller urbani.
Dopo Kiltro (2006), Mirageman (2007), Mandrill (2009) e Redeemer (2014), il duo cileno si è riunito nuovamente per Il pugno del Condor, ambizioso tentativo di trasporre l’estetica dei classici anni Settanta della Shaw Brothers – storica compagnia di produzione del cinema di Hong Kong – in un contesto autoctono, innestando tecniche di combattimento ispirate all’eredità Inca.
Ne parliamo in occasione dell’arrivo del film nel catalogo di Amazon Prime Video, dove è inaspettatamente, almeno al momento in cui scriviamo, entrato nella top 10 dei titoli più visti sulla piattaforma di streaming.
Il pugno del Condor e la via del guerriero – recensione
Il protagonista El Guerrero viene attaccato su una spiaggia da un giovane praticante di arti marziali, determinato ad eliminare colui che ritiene responsabile del furto del leggendario manuale del Pugno del Condor. Dopo averlo facilmente sconfitto, il protagonista rivela al malcapitato di aver sbagliato bersaglio: il colpevole è infatti il suo fratello gemello, anch’egli maestro di arti marziali ma dedito alla via oscura.
Guerrero si imbarca così in una ricerca personale per rintracciare il consanguineo, recuperare il sacro tomo e chiudere definitivamente i conti con quel tormentato passato e quell’evento chiave che li ha separati per sempre, mettendoli l’uno contro l’altro.
Il film è diviso in vari capitoli e si propone come il primo di un franchise, con quel finale apertissimo che lascia parzialmente l’amaro in bocca in quanto non conclude la storyline principale, fungendo da semplice antipasto per il prosieguo a venire.
Azione a più non posso
Nonostante quest’epilogo tronco e una narrazione fin troppo minimalista, gli ottanta minuti di visione de Il pugno del Condor sono in grado di regalare diverse soddisfazioni agli amanti del genere, che potranno godere di scene d’azioni spettacolari, coreografie in slow-motion dove i combattenti si muovono come spinti dal vento. Una scelta che richiama proprio ai classici di genere orientali citati in apertura, e che impreziosisce il comparto ludico permettendo di chiudere un occhio su quello script così limitato, seppur volutamente.
Una rivisitazione in piena regola dei classici archetipi, più omaggio che caricatura, con diversi innesti tipicamente cileni che conferiscono al film un sapore inedito, complice anche la suggestiva ambientazione per gran parte su montagne sperdute o su spiagge isolate, dove hanno luogo i vari scontri che il protagonista si trova ad affrontare rigorosamente a petto nudo. Marko Zaror interpreta i due fratelli con un semplice cambio di look, capelli lunghi uno, calvo l’altro, e laddove non arriva con le capacità attoriali recupera in carisma fisico, con la poesia cinetica del suo istrionico atletismo marziale.
Conclusioni finali
Il basso budget e una sceneggiatura semplice-semplice, pensata come un chiaro omaggio ai film della Shaw Brothers, non sono un problema per gli appassionati quando ci si trova davanti a sequenze di combattimento ben coreografate e fantasiose, con il cinema di arti marziali d’ispirazione orientale che trova nuova linfa in terra cilena grazie al regista Ernesto Díaz Espinoza e al protagonista Marko Zaror, già visto tra gli altri nel franchise di John Wick.
Il pugno del Condor non va per il sottile in una visione rapida e scattante, dove la trama è un semplice pretesto per far combattere a più non posso, tra tributi ai classici e una via più personale che tenta di contaminare il genere con leggende e spiritualismo autoctoni. Un piccolo cult indipendente che ci sentiamo di consigliare ai fan del genere.