Sofia è una giovane antropologa la cui vita si trova in una fase di stallo per via di sua madre Rose, afflitta da un’inspiegabile paralisi alle gambe che i medici non riescono a diagnosticare. La loro convivenza è un continuo rituale di assistenza e recriminazioni reciproche.
In Hot Milk, nella speranza di trovare una cura miracolosa, le due donne decidono di tentare il tutto per tutto e partire da Londra, dove vivono, per l’Almeria, in Spagna, dove ha sede una clinica specializzata e innovativa, guidata dal carismatico e ambiguo Dottor Gómez. In questo paesaggio balneare, bruciato da un sole che non concede tregua, la prigione psicologica di Sofia inizia a mostrare le prime crepe e l’incontro con Ingrid, una donna dal passato misterioso, rischia di complicare ulteriormente la già difficile situazione.
Hot Milk: sotto un sole di fuoco – recensione
La sceneggiatura è intelligente nel rifiutare facili psicologismi, preferendo affidarsi all’evocazione sensoriale di un amore universale: che sia quello di una madre per una figlia o di carattere sessuale, la forza dei sentimenti prende il sopravvento in maniera spesso prepotente e crudele, tra luci e ombre di rapporti incrinati. Il caldo opprimente, il ronzio delle cicale, il blu infinito del mare all’orizzonte diventano metafora del tumulto interiore della protagonista, in un’estate che certo non dimenticherà.
La macchina da presa pedina Sofia, ne cattura le titubanze e lo sguardo smarrito, trasformando la sua apatia in un’attesa carica di tensione, destinata prima o poi ad esplodere. L’incontro con Ingrid (una magnifica Vicky Krieps), una donna tedesca libera e pragmatica, funge da detonatore, accendendo desideri sopiti e spezzando quel flebile confine tra cura e controllo.
Dalla carta allo schermo
Adattamento del romanzo Come l’acqua che spezza la polvere di Deborah Levy, distribuito in Italia da Garzanti, il film è stato presentato all’ultima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, dove era in concorso per l’ambito Orso d’Oro. Va detto che a dispetto dei suoi citati punti di forza l’ora e mezzo di visione rischia di soffrire di una parziale staticità, almeno a livello puramente stilistico: la regia di Rebecca Lenkiewicz è si essenziale ma a tratti rischia di perdere il giusto climax, ritrovandolo però in potenti scene madri su cui spicca quell’epilogo “aperto” e decisivo.
Come abbiamo detto Vicky Krieps, attrice ormai apprezzatissima e conosciuta anche dal grande pubblico, agisce nelle vesti di catalizzatore e terzo incomodo, ma la maggior parte del racconto si concentra sul duello attoriale tra Emma Mackey e Fiona Shaw, entrambe magnifiche nel dar vita ad un complesso legame figlia – madre che risente di profondi strascichi di un passato rimosso. Tra comportamenti passivo-aggressivi e segreti destinati ad esplodere come fuochi improvvisi, il tema della malattia, vera o presunta che sia, diventa una subdola arma di sudditanza totale. Di contro, la Sofia della Mackey è una superba rappresentazione dell’implosione emotiva.
L’unico limite di un’opera così densa e controllata è una certa freddezza di fondo, un distacco intellettuale che a tratti impedisce allo spettatore di immergersi completamente nel cuore del dramma. Ma se si riesce a entrare nel mood, Hot Milk sa come colpire.
Il film è disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video nel canale MUBI e sulla relativa e omonima piattaforma di streaming.
Conclusioni finali
Hot Milk non è un film dalla narrazione convenzionale, dilatando ed esasperando il dramma per accompagnarci nell’incubo privato di un trio di tormentati personaggi femminili. La storia procede per accumulo di sensazioni, per epifanie silenziose di scheletri nell’armadio pronti a riprendere vita, in una resa dei conti, familiare e non, dalle conseguenze inevitabilmente dolorose.
Rebecca Lenkiewicz, sceneggiatrice al suo esordio dietro la macchina da presa, riesce a preservare l’essenza elusiva del romanzo alla base, concentrandosi sulla parabola ipoteticamente catartica della giovane protagonista, costretta moralmente a badare a una madre che respinge se stessa mentre incrocia un possibile amore e (ri)scopre se stessa, tra gelosie e misteri di una malattia psicofisica che ammorba e consuma.