Giuseppe Maggio torna su Netflix per vestire i panni di Luigi Poggi, un ambizioso fotografo protagonista nella serie Mrs. Playmen, diretta da Riccardo Donna. Nel cast anche Carolina Crescentini, Filippo Nigro, Francesca Colucci, Domenico Diele, Francesco Colella, Lidia Vitale, Giampiero Judica. 7 episodi, disponibili dal 12 novembre per raccontare la storia di Adelina Tattilo. Noi di SuperGuidaTv lo abbiamo intervistato. Ecco cosa ci ha raccontato del suo personaggio e della serie tv.
Intervista a Giuseppe Maggio per la serie Netflix “Mrs. Playmen”
Giuseppe Maggio, benvenuto su Super Guida TV e bentornato su Netflix con una nuova serie che ti vede tra i protagonisti, Mrs. Playmen, appunto per Netflix. Raccontaci un po’ questa esperienza all’interno del cast di questa nuova serie.
È stata un’esperienza bellissima, un cast formato da attori molto capaci, molto umani, molto bravi. Anche il gruppo di lavoro è stato un bellissimo gruppo, sono molto contento. È una storia diversa, la storia di una donna forte, di una donna che ha voluto emanciparsi in un certo senso da una pressione patriarcale di quegli anni, interpretata benissimo da Carolina Crescentini. La donna in questione è chiaramente Adriana Tattilo, ed è bello far parte di questa storia e raccontare uno spaccato dell’Italia di quegli anni.
Com’è stato tornare in quegli anni ’70 così carichi di rivoluzione?
È molto stimolante, perché è un periodo in cui le persone avevano davvero la percezione di poter cambiare il mondo e la società, di poter dare un contributo che avesse valore. E insieme poi l’hanno fatto: veniamo dal ’68 ed entriamo nel ’70, anni che hanno creato il mondo come lo conosciamo oggi.
Ti vediamo nei panni di Luigi Poggi, bello, ambizioso, con quella voglia di conquistare Roma. Ti ci ritrovi in questo tipo di forma di vita e di successo?
Sì, io sono molto ambizioso. Per me il desiderio di raccontare il mondo attraverso il mio lavoro, quindi il mio essere attore, è un motivo trainante. Per Luigi lo è attraverso la fotografia: non si limita a ritrarre modelli in modo convenzionale, ma vuole raccontare la vita vera di quegli anni. Lui ha Pasolini come riferimento estetico, artistico, dice: “Vorrei fare con la mia fotografia quello che lui fa con il cinema”, quindi trovare la bellezza nella verità.
Luigi è anche un po’ un angelo e un po’ un demonio. Come hai lavorato per trovare questo equilibrio?
È un personaggio che parte in modo molto ambizioso e forse anche amorale: per il lavoro è disposto a superare dei limiti. Ma poi in lui nasce una riflessione, un movimento interiore, che lo porta a chiedersi se vale davvero la pena comportarsi così per ottenere risultati quando tutto questo può lasciarti un vuoto dentro. È un personaggio in evoluzione, ed è questo l’aspetto più affascinante.
Ti sei ispirato a qualcuno per costruirlo?
Mi sono ispirato ai fotografi del tempo, a quelli che venivano dal mondo della dolce vita, che coglievano la realtà nel suo movimento. Ho visto tanti documentari, da Helmut Newton ad altri grandi fotografi: erano artisti prima di tutto. La fotografia analogica era diversa, il risultato non era immediato, e tutto era nello sguardo del fotografo: questo mi ha molto affascinato. Mi sono ispirato anche ai ragazzi della generazione Beat, del Piper degli anni ’60, ’70, che hanno creato una rottura rispetto a ciò che li aveva preceduti.
Nella serie, Luigi entra nella redazione di Playmen: cosa rappresenta per lui questo ambiente e in che modo lo cambia?
Lui era già dentro Playmen prima dell’arrivo di Adelina Tattilo. Si inserisce nell’ondata di modernità e novità che lei porta, l’idea di raccontare un mondo diverso dagli stereotipi. È un personaggio libero, anche sessualmente, è bisessuale, e affronta la vita e gli altri con grande libertà e emancipazione. Trova nella Tattilo una figura specchio da cui imparare.
Cosa ti ha colpito maggiormente del personaggio di Adelina Tattilo?
Il fatto di non accettare compromessi dettati dalla società. Lei ha rivoluzionato un racconto che sembrava già scritto, lo ha riscritto e migliorato.
Playmen non era una rivista porno ma erotica. Come avete raccontato il confine tra eros e pornografia?
Playmen era una rivista erotica ma anche di costume. A differenza di Playboy, non era centrata solo sulla sessualità fine a se stessa: raccontava i tempi che cambiavano, l’emancipazione della donna e il corpo femminile come espressione di libertà. Era un giornale rivolto anche alle donne, che in quegli anni spesso vivevano in contesti dove la sessualità era tabù. Raccontava un erotismo diverso, meno volgare e più umano.
Nel cast ci sono Carolina Crescentini e Filippo Nigro. C’è qualche aneddoto particolare che puoi raccontarci?
Sì, un episodio prima delle riprese. Avevo fatto il provino per Playmen e aspettavo una risposta. A luglio partii per la Spagna con mia moglie, e sull’aereo trovammo Carolina Crescentini e suo marito diretti nello stesso posto, sia all’andata sia al ritorno! L’ho interpretato come un segno del destino, un anticipo del risultato che poi sarebbe arrivato.
La serie tocca temi forti come emancipazione femminile, libertà dei costumi e rivoluzione culturale. Pensi che questi temi parlino ancora all’Italia di oggi?
Assolutamente sì, ma dovrebbero essere anche uno spunto di riflessione. Oggi spesso si combatte non per ideali ma per mode: si seguono correnti di pensiero senza conoscerle davvero. È una “rivoluzione instagrammabile”. Negli anni ’70, invece, le rivoluzioni avevano un pensiero e un desiderio reali di cambiare le cose, non per mostrarsi ma per convinzione. Oggi si urla alla novità o alla fluidità, ma in un mondo che certe cose le ha già viste. Allora artisti come Renato Zero rompevano davvero con la società del tempo: quella sì che era trasgressione vera.
Secondo te, quali sono i tabù oggi nel nostro paese?
Sicuramente l’inclusività resta un tabù per una parte della popolazione. Altrove c’è maggiore apertura, mentre in Italia alcuni temi non sono ancora pienamente accettati. Molte cose in passato sono state già superate, ma ce ne siamo dimenticati. Bisognerebbe lavorare su questi aspetti per un’esigenza reale, non per moda o per esibizione.
Alla regia della serie c’è Riccardo Donna. Cosa hai appreso da lui vedendolo lavorare?
Riccardo mi ha dato una chiave di lettura molto interessante del personaggio. Mi ha insegnato che è importante partire da una ferita, lavorare sulla ferita del personaggio, perché ciò che appare scontato spesso nasconde molto di invisibile. È interessante renderlo evidente nel corso della narrazione.
Guardando il tuo percorso, dal cinema d’autore alle serie internazionali, cosa ti ha insegnato questo progetto su te stesso come attore?
Mi ha dato uno stimolo a fare sempre meglio. Su questo personaggio ho lavorato in modo immersivo: ho imparato a scattare in analogico, a sviluppare in camera oscura. Ho curato anche l’estetica, portando con me basette e look d’epoca. Mi piace vivere e indossare il personaggio, sentirlo. Mi ha lasciato il desiderio di trovare altri ruoli così e di potermi misurare con realtà di questo livello.
In quale direzione ti piacerebbe andare, lavorativamente parlando? C’è un ruolo o un genere che sogni di interpretare?
Non ho un genere specifico. Mi piace il cinema in tutte le sue forme. Vorrei affrontare progetti che mi permettano di superare i miei stessi limiti, di andare oltre e scoprire nuovi aspetti di me e della vita.
Chiudiamo con una sfida: tre parole per convincere il telespettatore a guardare Mrs. Playmen su Netflix dal 12 novembre.
Tre parole? Scandalosamente bella, come l’ha definita Netflix, e italiana. È una storia molto italiana, che racconta l’Italia di quegli anni e uno spaccato di noi.