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Erika Rombaldoni, dalle coreografie all’Eurovision Song Contest Junior: “La danza non cambia il mondo da sola, ma può cambiare lo sguardo delle persone”

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Regista, ballerina e coreografa, Erika Rombaldoni ha fatto della sua passione la sua ragione di vita. Recentemente è stata coreografa del tour negli stadi di Cesare Cremonini e vedremo la sua creatività a servizio dei più piccoli durante l’Eurovision Song Contest Junior. Scopriamo insieme cosa ci ha rivelato sulla sua carriera e sui progetti futuri.

Intervista alla coreografa e ballerina Erika Rombaldoni

Come è nata la sua passione per la danza?

“Vengo da Cagli, una piccola cittadina del Montefeltro di meno di 10mila abitanti, e ho iniziato a danzare fin da bambina, a soli tre anni. Dopo il primo saggio di fine anno, mi raccontò mia mamma che le dissi che volevo diventare ballerina, e da allora la danza è stata una vera ragione di vita. Ho continuato a perfezionarmi in Francia, Olanda e a Roma, confrontandomi con diversi stili e tecniche.

Ci sono stati momenti incerti – fa parte del mestiere – ma con il tempo sono arrivate le grandi soddisfazioni, come ballerina prima e come coreografa poi, in teatri o contesti prestigiosi come l’Opéra di Parigi e la Scala di Milano”.

Lei si occuperà delle coreografie per l’Eurovision Song Contest Junior di Leonardo Giovannangeli che presenta il brano ‘Rockstar’. Come è stato lavorare con e per i più giovani?

Lavorare con i più giovani è sempre una gioia e una sfida allo stesso tempo. I ragazzi hanno un’energia incredibile, freschezza e curiosità. Lavorare per i più giovani ti costringe a essere chiaro, immediato e creativo, e allo stesso tempo ti ricorda quanto la danza possa essere un mezzo potente per comunicare emozioni e divertirsi”.

Ci può svelare qualcosa in anteprima, cosa vedremo il 13 dicembre?

“Non posso anticipare molto, sarà una sorpresa per il pubblico. Posso però dire che
abbiamo voluto esprimere la personalità del brano e la sua energia in movimento”.

Come è mettere in danza il testo di una canzone?

“Mettere in danza un testo significa interpretarne ritmo, suoni ed emozioni, trasformandoli in gesti e movimenti che li rendono visibili e immediati. Per me la danza non deve essere autoreferenziale o accessoria: deve amplificare il testo e la musica, convivendo armonicamente con tutte le altre componenti dello spettacolo, dalla regia alla scenografia,
dalle luci ai video”.

Lei ha lavorato per diversi teatri, fa parte del database dei ballerini del Cirque du Soleil; ballato in musical con Cocciante, è stata invitata dalla Fondazione MAXXI di Roma con il suo spettacolo con Neri Marcorè “Di Uomini e Animali”, creato le coreografie de “Il Nome della Rosa” al Teatro alla Scala di Milano. Ci racconta qualche aneddoto, il dietro le quinte di queste esperienze?

“Ogni esperienza ha il suo ricordo speciale. Ogni esperienza ha un suo dietro le quinte fatto di incontri, collaborazione e crescita. Uno dei ricordi più importanti del mio percorso riguarda certamente il Cirque du Soleil. Avevo da poco affrontato un grave infortunio alla schiena, due interventi chirurgici e mesi in cui diversi specialisti mi dicevano che non avrei più potuto ballare. Non ho voluto arrendermi: ho continuato terapie, rieducazione, e alla fine ho trovato chi ha saputo davvero rimettermi in piedi.

Dopo mesi di riabilitazione e quando mi sono presentata all’audizione del Cirque, non pensavo di farcela. Chi sarebbe arrivato in fondo nel corso delle preselezioni avrebbe dovuto affrontare tre giorni intensissimi: sette ore al giorno, circa 180 donne da tutto il mondo, e alla fine ne scelsero solo cinque. Io ero una di loro. Per me è stato un momento
di riscatto e di enorme gratitudine, oltre che un traguardo artistico.

A tre ore prima dall’inizio dello spettacolo al MAXXI invece Neri mi telefonò dicendomi che si era preso il colpo della strega! Da grande professionista qual è ha gestito il palco alla perfezione”.

C’è una coreografia che le è rimasta più impressa o un’emozione che è più difficile da far ballare?

Più che una coreografia in particolare, mi rimangono impresse le emozioni che le attraversano. Probabilmente quelle più intense sono sempre le più intime: la fragilità, la nostalgia, il senso di perdita. Tradurle in movimento richiede delicatezza, perché basta poco per risultare retorici o eccessivi. Ma quando si riesce a trovare il gesto giusto, essenziale, allora nasce qualcosa di molto vero”.

Cosa pensa nel postare sui social balletti e video di coreografie? Per esempio la canzone di Gaia ‘Chiamo io, chiami tu’ è diventata virale grazie a Carlos Diaz Gandia.

“Credo che, nella nostra epoca, i social siano un mezzo potentissimo di promozione e diffusione della creatività. Condividere coreografie può far arrivare la danza a un pubblico vastissimo, e questo è un aspetto positivo. Allo stesso tempo, penso sia importante farlo con eleganza e mantenendo alta la soglia di attenzione: i social possono facilmente farci perdere la misura della realtà, portare a vivere più per i like che per l’esperienza in sé.

A volte si rischia di non godersi davvero il momento presente, perché troppo impegnati a
fotografarlo o filmarlo per poi postarlo. Come in tutte le cose, la chiave credo stia
nell’equilibrio”.

Lei ha debuttato anche sul grande schermo con il corto ‘Arianna’. Le piacerebbe invece diventare per esempio insegnante di danza ad Amici o far parte del mondo della tv? (sia realizzando coreografie per qualche programma che nel ruolo di docente).

“Il cinema è un’esperienza bellissima, molto diversa dalla scena dal vivo, e mi piacerebbe sicuramente esplorare ancora quel mondo. Per quanto riguarda la televisione, credo che sia un linguaggio con un’enorme capacità di arrivare a tanti. Se ci fosse l’opportunità giusta, un progetto in cui potrei portare davvero il mio modo di intendere la danza, la prenderei volentieri in considerazione — sia come coreografa che come docente. L’importante, per me, è che ci sia un contesto che valorizzi la qualità e il lavoro artistico”.

Recentemente ha realizzato le coreografie per il tour di Cesare Cremonini. Che esperienza è stata? Sempre più cantanti si fanno accompagnare da un corpo di ballo durante le loro esibizioni. Alcune hanno destato scalpore (come il video bacio tra due ballerine durante il concerto di Elodie), cosa ne pensa?

Lavorare al tour di Cesare Cremonini è stato magnifico, un’esperienza intensa, stimolante, bellissima. Quanto alle performance che coinvolgono un corpo di ballo, credo che la scena musicale stia semplicemente ampliando il proprio linguaggio. La danza è espressione, comunicazione, e ciascun artista ha il diritto di sperimentare forme diverse. È importante che ci sia libertà creativa e che ogni gesto abbia un senso all’interno del progetto artistico”.

A fine novembre si occuperà di realizzare un omaggio alla vita di Joséphine Baker per l’Opéra di Montecarlo. Cosa può fare la danza per cambiare il mondo? 

“L’omaggio a Joséphine Baker è un progetto che mi tocca profondamente, perché lei è l’esempio vivente di come l’arte possa diventare emancipazione, coraggio, trasformazione. La danza non cambia il mondo da sola, ma può cambiare lo sguardo delle persone: può aprire domande, muovere emozioni, far sentire rappresentati, accendere il desiderio di libertà. È un linguaggio che attraversa i confini e crea ponti, proprio come ha fatto Joséphine”.

Qual è il suo sogno più grande?

“Il mio sogno più grande? Continuare a crescere come artista senza perdere il legame con le mie radici, portando in scenari sempre nuovi la possibilità, tutta umana, di trasformarsi”.

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