Quanto può l’amore di una madre per una figlia? E fino a dove può spingersi quel sentimento, fino a infrangere leggi e regole morali, pur di proteggere colei che si è portata per nove mesi in grembo? In Echo Valley la risposta rischia di essere assai divisiva, visto che in questo thriller a sfondo criminale la vicenda prende una svolta sempre più controversa col procedere dei minuti ed è difficile giustificare certe scelte, anche se adeguatamente contestualizzate.
Limiti da superare per il personaggio di Julianne Moore, che si ritrova suo malgrado a dover gestire una situazione complicata provocata dalla tossicodipendenza della sua “bambina”, che continua a sbagliare e a ricadere in quella spirale autodistruttiva, trascinando a fondo non soltanto se stessa ma anche le persone che le ruotano attorno, a cominciare proprio da quella figura materna pronta a tutto pur di non lasciar nulla intentato.
Echo Valley: tra dolore e rimpianto – recensione
Kate Garrett gestisce una fattoria tutta sua e si guadagna da vivere dando lezioni di equitazione. Divorziata dal marito e rimasta vedova della moglie, dopo aver scoperto la sua vera sessualità tardivamente, ha una figlia avuta dal primo matrimonio, Claire. Una ragazza problematica già reduce da diversi tentativi di riabilitazione, sempre abbandonati per ricadere in quei brutti giri. Brutti giri che la vedono nuovamente protagonista come debitrice di un narcotrafficante locale, al quale deve ben diecimila dollari.
Come se la situazione non fosse già abbastanza complicata, una sera Claire bussa alla porta della fattoria sostenendo di aver ucciso il suo fidanzato durante un’accesa lite, mentre erano entrambi strafatti. Kate decide di occuparsi personalmente della questione, ma ignora che il peggio deve ancora arrivare…
Una donna pronta a tutto
Il maggior punto di interesse dei cento minuti di visione è la performance di Julianne Moore, attrice sempre maiuscola qui alle prese con un personaggio complesso, non sempre amabile ma capace di reggere sulle spalle il peso dell’intero racconto. Racconto altrimenti messo in scena con scarsa ispirazione, avaro di tensione e di eventi effettivamente significativi, con diverse forzature in quell’epilogo dove vengono svelati trucchi e inganni per trovare la chiosa ideale. In un dramma che si appoggia in maniera fin troppo oltranzista su quell’assunto che non accetta ragioni.
Nel ruolo della pecora nera della famiglia troviamo una parimenti efficace Sydney Sweeney, che pur con un minutaggio ridotto riesce a imprimere personalità a una figura respingente. E proprio sull’intensità del legame tra queste due donne Echo Valley trova la giusta energia, purtroppo non sempre accompagna da una gestione del ritmo che scade in tempi morti e in una generale mancanza di sorprese. Gli stessi “colpi di scena” finali appena citati sono fin troppo prevedibili e manca al giungere dei titoli di coda quel senso di appagamento che una vicenda così giocata sui sentimenti e sui rapporti umani avrebbe dovuto esprimere.
Il film è disponibile nel catalogo di AppleTv+.
Conclusioni finali
Un dramma familiare travestito da thriller, con una girandola di rivelazioni più o meno sorprendenti a cercare di insinuare dubbi e (in)certezze nello spettatore. Che rimarrà sì conquistato dalla struggente performance di Julianne Moore, ma difficilmente si farà abbindolare da una sceneggiatura che si ciondola nell’assunto di partenza, senza abbellirlo con soluzioni originali o accattivanti.
Echo Valley espone al pubblico una vicenda privata, con la tragedia della tossicodipendenza di una figlia che spinge una madre ad infrangere codici etici e a sacrificare parte di se stessa, ma nel farlo si dimentica di accompagnarlo con una trama verosimile e interessante, tra spacciatori crudeli e colpi di scena improbabili a popolare un minutaggio carico di potenzialità inespresse.