Tom ha appena lasciato un istituto psichiatrico dove ha trascorso la maggior parte della sua vita, luogo in cui ha risieduto per molti anni dopo la condanna per complicità nell’omicidio di una ragazzina. Unico proprietario legale della villa di famiglia ereditata dai defunti genitori, ha un fratello maggiore in carcere, effettivo colpevole di quell’orrendo crimine, al quale fu costretto ad assistere da inerme testimone.
In Delirium non bastano le medicine a cancellare le sue allucinazioni sempre più frequenti, che in quella sfarzosa dimora piena di stanze e segreti trovano campo libero. Controllato da un’ufficiale di sorveglianza che continua a dubitare della sua presuntamente ritrovata sanità mentale, e sottoposto a rigidi controlli a distanza quotidiani, Tom conosce la bella Lynn, che si guadagna da vivere con le consegne a domicilio. Ma il protagonista si troverà a fare i conti con qualcosa di inquietante che si muove tra quelle quattro mura e dovrà comprendere cosa sia reale e cosa no.
Delirium, recensione: la villa degli orrori
Una villa con piscina e camera nascoste, luoghi dove creare situazioni di potenziale suspense in una sceneggiatura che letteralmente non si muove mai da lì. L’unica ambientazione rischia di essere una sorta di fardello a tratti insostenibile se non si ha a disposizione un intreccio narrativo all’altezza e Delirium, pur non avaro di qualche passaggio amabilmente spaventoso, si rivela nel complesso un calderone confuso e senza logica.
La gestione dei personaggi che ruotano intorno al malcapitato protagonista, che si ritrova a lottare sia contro la propria mente ipoteticamente disturbata che contro i fantasmi, quelli sì amaramente reali, di un tragico passato, è alquanto dozzinale e spesso la loro entrata o ritorno in scena viene forzato all’improvviso, avulsa da un approccio omogeneo a quanto appena raccontato soltanto pochi secondi prima.
Quando paura fa rima con confusione
Il regista greco Dennis Iliadis era salito alla ribalta con L’ultima casa a sinistra (2009), discreto remake del controverso cult firmato negli anni Settanta da Wes Craven, e aveva realizzato anche un affascinante teen / sci-fi dal titolo +1 (2013). Ma qui cerca di insinuarsi nelle derive dell’horror psicologico e non trova la giusta chiave di lettura, procedendo per accumulo di situazioni e sensazioni, con il continuo ricorso agli jump-scare quale sintomo di poca originalità stilistica nella creazione della relativa atmosfera paurosa.
Pensare che lo script di Delirium era stato inserito nella Black List delle migliori sceneggiature fino ad allora non ancora realizzate, ma almeno nella sua relativa messa in scena la vicenda paga troppe negligenze narrative, tra buchi o figure di contorno poco approfondite, che impediscono al film di essere verosimile pur nella sua contestualizzazione horror. Soprattutto giacché a un certo punto si decide di puntare su risvolti thriller molto più terreni ma non per questo più credibili, e lo sguardo spaesato di un pur volenteroso Topher Grace nel ruolo principale dice davvero tutto.
Non bastano infatti stranezze e comportamenti inspiegabili a giustificare quel caos di eventi che ben presto prende il sopravvento, trascinando tutti verso quella resa dei conti finale che vanta un altro incredibile, se non assurdo, colpo di scena, prima di quell’epilogo parzialmente parodico che chiude un cerchio ricco di sbavature.
Conclusioni finali
La buona idea iniziale, foriera di molteplici spunti e suggestioni, non viene elaborata a dovere da una sceneggiatura che procede per inerzia, impedendo alla stessa regia di trovare un ritmo coerente con quanto mostrato su schermo. Le atmosfere inquietanti che fanno capolino qua e là vengono gettate al vento da banali jump-scare e da una serie di improbabili colpi di scena che maltrattano non soltanto il protagonista, ma anche i personaggi secondari e di rimando lo spettatore stesso.
Tra thriller psicologico, ghost story e dramma familiare, Delirium sa soltanto cosa non è. Un film che scorre in fretta ma si dimentica altrettanto velocemente, scadente spesso nell’assurdo quando aveva potenzialità da vendere in questa casa degli orrori, restante freddo palcoscenico di una vuota danza tra realtà e allucinazione.