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007 – La morte può attendere, recensione del film di Christian Fregoni

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Ahimè i danni provocati dalla famigerata epoca Brosnan alla saga di James Bond si fanno largamente sentire in questo 20esimo capitolo. A distanza di 40 anni esatti dall’uscita del primo, storico ed indimenticabile, film “Agente 007 – Licenza di uccidere”, la Eon Productions decise di prendere la palla al balzo per produrre un nuovo film da far interpretare a Pierce Brosnan.

Pochi consensi per il film 007 – La morte può attendere

Nonostante un buon incasso a livello globale, la pellicola accolse consensi pressoché nulli da parte della critica, affezionata a un tipo di spy-movie meno “inquinato” da effetti speciali scadenti e trovate kitsch che farebbero storcere il naso pure agli spettatori più clementi.

La trama del film 007 – La morte può attendere

Parliamo un secondo della trama del film: James Bond (Pierce Brosnan) si trova in Corea del Nord per cercare di smantellare un’operazione criminale di traffico di armi e diamanti insanguinati ad opera del figlio di un generale nordcoreano. Dopo un roboante conflitto a fuoco, in cui il figlio sembra trovare la morte, la spia viene catturata e tenuta prigioniera in un carcere, dove subisce torture ininterrotte per quasi un anno intero.

Rilasciato dopo aver effettuato uno scambio con un pericoloso criminale di nome Yao, Bond vede requisita la propria “licenza di uccidere”, poiché sospettato di aver rivelato al nemico informazioni classificate durante il periodo di prigionia.

James Bond intraprende quindi una frenetica missione per cercare di individuare la persona che l’ha tradito in Corea, venendo a conoscenza dell’agente NSA Jinx (Halle Berry), e della collega Miranda Frost (Rosamund Pike), spalla provvisoria del milionario scapestrato Gustav Graves (Toby Stephens).

Dopo aver ottenuto la conferma che sotto l’identità di Graves si nasconde in realtà il figlio del generale, ritenuto morto, gli agenti si spostano in Islanda per seguire le orme del ricco eccentrico, intento a presentare il suo ultimo trovato tecnologico: un enorme specchio orbitante, capace di convogliare la luce solare in potentissimi e distruttivi fasci di energia. Ne seguono rocambolesche scene di fuga e di lotta in puro stile James Bond e una sequenza finale, ambientata a bordo di un velivolo in volo verso la Corea del Nord, in cui i due antagonisti si scontreranno nell’emozionante duello finale.

007 – La morte può attendere: Recensione del Film

Poveri noi! Ci troviamo di fronte a un Bond-movie in pura controtendenza. I presupposti sono sicuramente ottimi: sceneggiatura intrigante all’apparenza, partecipazione di una buona compagine attoriale di contorno e una dose di citazionismo sfegatato, dettato dalla necessità di celebrare i 40 anni della gloriosa saga cinematografica. Sulla carta tutto riluce, ma non è tutto oro ciò che luccica!

La regia venne affidata al non brillantissimo Lee Tamahori, che prova a confezionare qualche novità visiva, come ad esempio la piacevole sequenza dei titoli di testa del Bond torturato, con la splendida canzone di Madonna in sottofondo. Il problema nasce dalla resa della figura dell’agente segreto stesso: siamo troppo lontani dall’affascinante surrealismo dei titoli precedenti, in cui Bond era sì protagonista di storie per lo più incredibili, ma manteneva comunque un savoir-fare molto pratico e tangibile. Raffinato, snob e sopra le righe ma comunque “credibile” nel sapersela cavare in tutte le situazioni, anche le peggiori poiché è quasi prerogativa di un personaggio sui generis avere sempre un asso nella manica.

Le scene d’azione più avvincenti sono senz’altro quelle più realistiche: l’introduzione a bordo degli hovercraft, molto emozionante e coinvolgente, l’intera sequenza girata nella scuola di scherma, in cui veniamo deliziati da uno spettacolare duello all’arma bianca tra Bond e Graves, ci fanno catapultare immediatamente nell’ottica dei vecchi film della saga. L’emozione si ferma qui, purtroppo mangiata da un nevrotico ed eccessivo utilizzo di CGI veramente scadente nella seconda metà del film: James Bond diventa quindi protagonista di improbabili fughe su kitesurf, scappando da tsunami glaciali devastanti, salvataggi a bordo di Aston Martin in un palazzo di ghiaccio in fase di scioglimento e combattimenti in mezzo a laser impazziti che deprivano il film del fascino da “pellicola di spionaggio”, assumendo più i toni della fantascienza.

La trama inoltre prende a mani basse ispirazione da un precedente titolo della saga: “Agente 007 – Una cascata di diamanti”, ricalcando le tematiche dei gioielli e di congegni spaziali in grado di provocare effetti catastrofici ed è piena di furbi ammiccamenti all’intero franchise, con dialoghi riproposti alla lettera e omaggi continui.

Il momento in cui la bond-girl Halle Berry emerge dall’oceano evoca la classica scena di Ursula Andress, che si rivela a Sean Connery nel primo storico film della saga; nel reparto Q vengono mostrati in rapide inquadrature tanti gadget già apparsi in altri capitoli, come il jetpack di “Thunderball – Operazione tuono”, le scarpe avvelenate di “Dalla Russia con amore” e molti altri. Un citazionismo sfegatato che farà senza dubbio piacere ai fan più accaniti della serie e che ben celebra il successo raggiunto.

Ultimo dei 4 film della saga interpretati da Pierce Brosnan, purtroppo non eccelle nemmeno per quanto riguarda il reparto attoriale con un Bond decisamente sopra le righe per competenze e ormai troppo vissuto, perdendo quel potere magnetico che esercitava in “Goldeneye”, e una bond-girl tra le peggiori di sempre: Halle Berry è azzeccata dal punto di vista estetico, ma meno per abilità recitative.

Troppo forzata e fuori luogo, incapace di essere credibile nel ruolo dell’agente NSA sotto mentite spoglie, inconsulta tuffatrice da altissime scogliere (rigorosamente aiutata dalla bruttissima CGI). Aggiungiamoci anche un antagonista fin troppo dimenticabile, accozzaglia di battutacce poco originali e frasi ad effetto riciclate che lo fanno finire nel mucchio dei cattivi malriusciti. Da menzionare invece la spalla di Graves, il diabolico Zao di Rick Yune con il suo volto sfregiato dai diamanti e una perfetta caratterizzazione da nemico di James Bond.

L’evidente calo di tono e distacco dal filone generale della serie costrinsero la Eon Productions a valutare negativamente l’idea di riproporre Brosnan per un quinto film e il ruolo passò successivamente al più fresco e fisico Daniel Craig, con un superbo ed esemplare ritorno alle origini da ritrovare in “Casinò Royale”. Nota veramente positiva per giustificare l’esistenza di questo pessimo surrogato filmico è rappresentata dal fatto che impose l’esigenza di cambiare radicalmente passo e rimescolare le carte in tavola, riecheggiando a tematiche più classiche e canoniche che ben si configurano allo stile dei più illustri capitoli della serie.

I pro ed i contro del film

Pro:

  • Scena d’apertura e titoli di testa memorabili, con la canzone di Madonna e relativo video d’accompagnamento che rispecchiano in tutto un piccolo bond-movie
  • Fan service spassionato con continui rimandi ad altri capitoli dell’intero franchise. Il valore nostalgico ne giova e dà ulteriormente lustro alla vasto immaginario collettivo che la saga rievoca.

Contro:

  • Trama troppo debole, tirata molto per le lunghe dall’eccessiva lunghezza del film, costellata di sequenze riempitive che sanno di già visto.
  • Compagine attoriale sotto tono: Brosnan ha perso il suo aplomb, la Berry non è mai nella parte e il cattivo viene surclassato dal suo luogotenente.
  • Effetti speciali? Potremmo trovarci di fronte a un film della Asylum (se non conoscete, recuperate qualche titolo) e le sensazioni evocate sarebbero le medesime…bocciati!

Voto: 5

@RIPRODUZIONE RISERVATA
A cura di Christian Fregoni

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  • Seppur con ritardo colgo l'occasione per dissentire sulla critica a Pierce Brosnan, il miglior attore che abbia interpretato l'agente 007.Nessuno come lui. Guardando e riguardando più volte tutti gli episodi degli 007 si evince che Pierce ha una marcia superiore a tutti gli altri attori.

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